GFI interviste: Iacopo Pasqui e Marina Caneve, raccontano della loro esperienza come vincitori del premio di Giovane Fotografia Italiana.
Il Premio Giovane Fotografia Italiana nasce nel 2018 con l’obiettivo di sostenere e finanziare la ricerca e la produzione artistica dei fotografi under 35. Nel corso di ogni edizione il premio è assegnato al miglior progetto fotografico, selezionato da una giuria internazionale tra i finalisti dell’open call.
Nell’edizione 2019. Ropes / Corde il premio, del valore di 2000 euro, è stato riconosciuto a Iacopo Pasqui con il progetto N.
La giuria del premio era composta da Walter Guadagnini, direttore artistico del festival Fotografia Europea, Chiara Fabro per il festival Panoràmic e Carlo Sala della Fondazione Francesco Fabbri.
Nell’edizione 2018. Activism il premio Giovane Fotografia Italiana, del valore di 2000 euro, è stato assegnato a Marina Caneve.
La commissione che ha selezionato la vincitrice era composta da Walter Guadagnini, direttore artistico di Fotografia Europea, Federica Chiocchetti, fondatrice e direttrice di The Photocaptionist, Stefania Scarpini, project manager per Peep-Hole, Milano ed editor per Humboldt Books.
Ciao, parlateci della vostra esperienza in Giovane Fotografia Italiana nel 2018 per Marina e nel 2019 per Iacopo.
Iacopo Pasqui:
«Sono molto felice anzitutto di aver partecipato a questa esperienza. La reputo come una delle più stimolanti del mio percorso artistico e professionale. La cosa che più mi ha colpito ed ovviamente piaciuta, è stata quella di aver percepito per la prima volta un reale e concreto interesse nei confronti della fotografia; non si tratta solo di interesse nei confronti del lavoro degli autori coinvolti, quanto piuttosto un credere condiviso dedito all’arte fotografica, una volontà che anima non solo i curatori ma anche tutte le persone che hanno collaborato alla realizzazione del premio e di tutto l’evento in sé.
Può sembrare strano ma a me non era mai capitato vedere tutto quel “dispiegamento di forze” concentrate sull’obiettivo di rendere onore agli autori partecipanti ed alla fotografia in sé ed è stato meraviglioso, mi ha fatto percepire per la prima volta che quello che facevo aveva realmente un senso per qualcuno altro, oltre che per me stesso. Rendere omaggio all’arte, alla cultura e porla in primo piano attraverso la sua valorizzazione, così come è stato fatto con GFI, è per me molto significativo e non bisogna tralasciare l’altro aspetto fondamentale: dare voce ai giovani e a chi non ha avuto altre possibilità di potersi mettere in gioco ed in vista.
Ho avuto grande libertà nel potermi esprimere al meglio, un budget a disposizione ed il confronto con chi ha più esperienza di me ed è in grado di leggere cose nel mio lavoro che normalmente non vedrei. E non sono cose da poco, anzi…»
Marina Caneve:
« Giovane Fotografia Italiana per me è stato un’esperienza molto importante; in quel momento tornavo a vivere in Italia, con tutte le preoccupazioni del caso. Abituata alle politiche di sostegno agli artisti messe in atto in Olanda, sia da parte di enti pubblici sia privati, ero un po’ titubante sul come reinserirmi in una società che sentivo tanto vicina in termini di empatia quanto lontana in termini di sostegno al lavoro culturale.
Ho trovato, non solo nel curatore Daniele De Luigi, ma in tutto il team di Giovane Fotografia Italiana un esempio virtuoso di quello che mi spaventava non trovare, sostegno, professionalità, dialogo e apertura. Ho inoltre condiviso l’esperienza con artisti che conoscevo e stimavo già da tempo come Valeria Cherchi e con artisti che ancora non conoscevo e di cui ho potuto apprezzare il lavoro.
Non da ultimo trovo importante la continuità di Giovane Fotografia Italiana che nel mio caso non si è chiusa con l’assegnazione del premio, ma procede con iniziative come per esempio il progetto Spazio Libero, a cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi, realizzato quest’anno durante la prima ondata di pandemia.»
© Marina Caneve, "Are they Rocks or Clouds?", 2018
Come si sono evolute le vostre carriere dopo la partecipazione a GFI?
Iacopo Pasqui:
« Cosa significa evoluzione? Si evolve a poco a poco, per step. L’anno da poco concluso e gli accadimenti che lo hanno caratterizzato non sono stati troppo d’aiuto in campo professionale e lavorativo. Sono contento, però, poiché sono successe diverse cose belle. Ad esempio c’è stata la partecipazione ad un altro grande evento per me molto importante (SPAZIO LIBERO), nel quale i curatori Daniele De Luigi ed Ilaria Campioli hanno coinvolto alcuni di noi partecipanti di GFI.
Sono a loro molto grato perché mi hanno dato ancora una volta l’opportunità di lavorare ed esprimermi con grande fiducia e rispetto, soprattutto in un momento difficile come l’uscita dal primo lockdown, e questa cosa, per me, è già una grande evoluzione. Diciamo che questo periodo non si sposi molto col concetto di evoluzione di carriera, si è bloccato quasi tutto e molto è rimasto in sospeso, ma sono fiducioso e positivo per il futuro.»
Marina Caneve:
« Negli ultimi tre anni ho pubblicato dei libri con delle case editrici che ammiro (Fw:Books, Quodlibet e A+mbookstore edizioni), il mio lavoro è stato esposto in mostre nazionali e internazionali e ho iniziato nuovi progetti e collaborazioni. Sono stati tre anni davvero intensi, ricchi di incontri e scambi; in particolare il 2019, fino alla pandemia. Poi è diventato intenso in un modo nuovo, con molto lavoro, incontri virtuali e molti meno spostamenti.
Se guardo indietro a tre anni fa, nonostante avessi già una laurea, avevo deciso di tornare a studiare. Ero uscita da meno di un anno dalla Royal Academy of Arts a Den Haag. Era un momento strano, lavoravo già da anni ma in qualche modo, uscendo di nuovo dall’accademia, mi dovevo “riambientare” nella mia carriera. Oggi sono felice di poter insegnare e tempo stesso portare avanti la mia pratica come artista senza troppi compromessi.
Quando sono venuta a Reggio Emilia per GFI partivo da Amsterdam dove mi trovavo per la residenza d’artista Docking Station. L’obiettivo era quello di sviluppare un progetto iniziato qualche anno prima sulla libertà di movimento e la nostra relazione con gli animali. Recentemente, grazie al programma FUTURES, sono stata coinvolta in un tutorship con il FOMU di Antwerp per quello stesso progetto. Questo per dire che sì, molte cose sono cambiate, ma la maggior parte sono il frutto di quanto già in corso non solo nel 2018, ma da quando ho deciso di intraprendere questa strada. »
Quanto è stato importante per voi e per la vostra carriera poter ricevere il premio di GFI?
Iacopo Pasqui:
« Per me in quanto uomo ed artista, tantissimo. Il mondo della fotografia viaggia lentamente ed i successi danno frutto nel lungo periodo. Il raggiungimento di un successo non equivale ad una evoluzione di carriera bensì credo che la cosa davvero importante sia quanto i successi riescano a far crescere, maturare, migliorare e sono questi i passaggi che ci fanno evolvere e, forse a quel punto, si possono ottenere degli “avanzamenti di carriera”. Sono piuttosto diffidente dal tutto e subito, dai facili entusiasmi e dalle lusinghe momentanee, son buone solo ad ingigantire l’aurea della mediocrità. Le carriere si costruiscono con calma, tassello dopo tassello e a me ne mancano ancora tantissimi. »
Marina Caneve:
« Oltre all’evidente importanza del premio a livello curricolare e all’acquisizione di alcune opere, GFI mi ha dato le energie e, in parte, il supporto economico per poter portare a termine “Are They Rocks or Clouds?”, il progetto con cui avevo partecipato.
Lo stesso anno, pochi mesi dopo, con il dummy del progetto Lesley A. Martin mi ha assegnato il Cortona On The Move Book Dummy Award. Credo che questa combinazione mi abbia davvero spinta a prendere coscienza di dover portare a termine il progetto. Nel 2019 Fw:Books e OTM hanno pubblicato il libro con disegno di Hans Gremmen e, oltre ai preesistenti saggi del geologo Emiliano Oddone e dell’antropologo Annibale Salsa, un saggio inedito di Taco Hidde Bakker. Lo stesso anno ho vinto un bando del Museo Nazionale della Montagna di Torino per realizzare un nuovo progetto curato da Veronica Lisino e Giangavino Pazzola. Il tema della montagna, l’archivio e la rappresentazione. Sicuramente il premio di GFI, in modo più o meno diretto, ha a che vedere con tutte queste cose. »
© Iacopo Pasqui, "N", 2019
Secondo la vostra esperienza, quale è il valore aggiunto di Giovane Fotografia Italiana rispetto ad altri progetti a cui avete preso parte?
Iacopo Pasqui:
« GFI ha un’identità forte, precisa, che si è evoluta e fortificata nel corso degli anni. Nasce per i giovani e continua a credere in loro senza mai snaturarsi, nonostante alcune difficoltà. Una delle cose più importanti e che mi dà ancora un po’ di speranza nei confronti di questo Paese è il fatto che sia un premio pubblico. Un premio creato e organizzato da un ente pubblico e questo sicuramente è il valore aggiunto. GFI ha vita nel maggior centro d’interesse per la fotografia in Italia; non bisogna dimenticare infatti che vive insieme a FOTOGRAFIA EUROPEA ed è cosa non da poco.
Fotografia Europea è ancora il festival più importante del nostro Paese, una realtà consolidata e di grande attrazione per appassionati e addetti al settore. Va da sé che c’è tutto un indotto votato alla qualità: dall’offerta dei contenuti, alla forma, alle location, alla comunicazione e alle curatele e questo non lo offre alcun altro premio italiano. Fin dai miei primi anni di frequentazione di FOTOGRAFIA EUROPEA pensavo a quanto sarebbe stato bello, emozionante ed importante potervi partecipare. Ogni volta che tornavo a casa dopo aver visto le mostre rimaneva in me questo desiderio. Mi sentivo sfigato ma mi faceva sognare e mi dava grandi stimoli; sarò sempre grato a Giovane Fotografia Italiana per averlo reso possibile. »
Marina Caneve:
« Diverse cose, a partire dalla modalità con cui si svolge il premio. La candidatura di un progetto e selezione di una prima giuria basata sulla descrizione del progetto e sulle immagini e poi la presentazione del progetto ad una seconda giuria che si basa su una vera e propria installazione e sul racconto dell’autore. Oggi, trovo davvero frustrante a volte partecipare a dei premi in cui tutta la parte legata alla materialità delle opere e alle modalità di installazione sia omessa o relegata ad una selezione di immagini e un breve testo. In particolare io molto spesso lavoro con una modalità multidisciplinare. Trovo che in GFI, come in pochi altri, sia stato possibile mostrare alla giuria il progetto per quello che era, seppur naturalmente attraverso un estratto e non il lavoro intero.
Nel caso di GFI sicuramente è stato molto importante e non secondario lavorare con il curatore, Daniele De Luigi, che ha saputo darmi degli input importanti. Per quanto riguarda l’installazione, aiutandomi a gestire lo spazio assegnatomi con delle suggestioni che mi aiutassero a includere tutti gli elementi chiave del lavoro. Altra cosa importante lo sforzo a cui mi ha spinto nel portare il progetto fuori dalla forma di fotolibro. »
© Marina Caneve "Are they Rocks or Clouds?"
Visita il sito di Iacopo Pasqui
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