Claudia Fuggetti presenta a Giovane Fotografia Italiana #09 Hot Zone, la documentazione fotografica di un sogno lucido
Ciao Claudia, ci diresti in che misura il tuo progetto e la tua professione si relazionano al tema della mostra “Possibile”?
Hot Zone ha diverse chiavi di lettura: è il racconto di una storia (im)possibile contestualizzata all’interno di un sogno lucido, allo stesso tempo propone una possibilità, in bilico tra reale e irreale.
Proprio nel mio project statement, cito una frase tratta dalla poesia “Darkness” di Lord Byron, “I had a dream, which was not all a dream”. L’intera poesia è apocalittica, ma in quella citazione si racchiude il senso di questo progetto: la possibilità che il sogno non sia soltanto tale. Di conseguenza, le immagini rappresentano mondi onirici, ma allo stesso tempo ci ricordano che abbiamo poco tempo per salvare il nostro pianeta.
La mia professione poi, mi inclina intrinsecamente alla sperimentazione e all’esplorazione di nuove possibilità visuali.
Com’è nata l’idea dell’utilizzo di reti neurali artificiali?
Il mio interesse nei confronti delle reti neurali è nato durante il Master in Photography and Visual Design presso NABA Milano e si è sviluppato per tutto il Biennio in Didattica Multimediale all’Accademia di Belle Arti di Brera. Sono affascinata dalle insidie della Postfotografia e dalle sue contraddizioni e, attraverso la mia pratica artistica, cerco di far coesistere immagini scattate con la macchina fotografia con quelle generate artificialmente.
Credo che sia inevitabile oggi porsi delle domande e confrontarsi con i processi automatizzati, che in realtà necessitano sempre, almeno per ora, del contributo umano.
Attraverso la rete neurale realizzata per Hot Zone, ho deciso di produrre un un documento visivo del sogno lucido, una testimonianza del possibile, che paradossalmente esplora un “territorio” assolutamente umano: il subconscio.
Le tue immagini sono molto insolite, allo stesso tempo conservano un’estetica accattivante, è un effetto voluto?
Assolutamente sì, con le mie immagini cerco di destabilizzare lo spettatore, portandolo ad essere ammaliato dalla bellezza dei luoghi fotografati, ma allo stesso tempo spiazzato e a disagio.
Ho trovato nelle grotte lo scenario perfetto per rappresentare un tipo di bellezza che allo stesso tempo riuscisse a generare turbamento e inquietudine. Il paesaggio agisce come una cornice emotiva piuttosto che contestuale. Questa relazione è complessa perché contraddittoria, dato che spesso associamo l’arte, la natura e la bellezza all’eternità, ma attraverso il paesaggio emotivo ci viene ricordato il senso di precarietà e fragilità della Terra.
L’idea di rappresentare la natura con colori che richiamino il consumismo sottolinea lo sfruttamento e l’assenza di un piano B per il nostro pianeta.
SITO WEB CLAUDIA FUGGETTI
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