Caterina Morigi presenta a Giovane Fotografia Italiana #09 Sea Bones

Immagini da microscopi e altri dispositivi danno vita a nuove forme, reinterpretando le relazioni fra gli esseri viventi.

© Caterina Morigi
© Caterina Morigi

Ciao Caterina, raccontaci di più su Sea Bones. In che modo la tua pratica si relaziona al tema della mostra “Possibile”?

Le ossa sono fatte di carbonato di calcio, le conchiglie e il marmo di fosfato di calcio, una sostanza molto simile; ricercatori in ambito biomedico studiano gli esoscheletri degli esseri marini per rifare le parti di osso mancanti. Questo ci racconta come oggi sia possibile pensare concretamente a nuovi accordi tra umano e naturale.

In Sea Bones, il progetto inedito che presento per Giovane Fotografia Italiana, il possibile risiede nelle associazioni visive e di senso tra mondo naturale e umano attraverso il medium fotografico che viene espanso a una dimensione installativa in cui le forme sfumano e si sovrappongono, senza confini precisi e mezzi unici.

Il micro e il macro si mescolano e si frammentano. Il progetto ha a che fare con l’acqua, luogo di vita e di scambio, così come nella superficie trasparente si sovrappongono parti per dare avvio a nuovi punti di vista soggettivi.

Il possibile per me ha molto a che fare con questo, con l’apertura a infinite interpretazioni che le arti visive forniscono.

Cosa ti ha spinto a una visione così dettagliata e, si può dire, scientifica del tuo lavoro e quali sono state le tue influenze?

Penso sia importante andare a fondo nelle cose, nei miei progetti arrivo spesso a un grado avanzato di specialismo tramite letture ma soprattutto collaborando con gli addetti ai lavori.

Il mondo scientifico è ciò a cui la cultura contemporanea si affida, è ancora legato al dato razionale; a me piace soprattutto osservare, poi provare a dare una forma.

Mi influenzano le atmosfere che percepisco intorno, in questo caso la pandemia ha esasperato l’uso di disinfettanti, dei materiali antisettici e il distanziamento sociale; così nel lavoro ho riportato una dimensione orizzontale (tipica del laboratorio) e supporti trasparenti che vengono spesso usati per dividere ambienti per animali e umani. Il microscopio elettronico è uno dei mezzi con cui sono realizzate le immagini, differente dal microscopio ottico spara fasci di elettroni ricavando un’immagine quasi tridimensionale ma sempre in bianco e nero.

Progetti passati che hanno segnato in qualche modo il tuo percorso?

Per Portrait (2016) volevo “regalare” un ritratto a una pietra in pietra: pormi a servizio della roccia stessa, per una volta, senza relegarla a semplice materiale da costruzione. Ho scelto un masso di scarto e vi ho fatto una scansione 3D. Una macchina CNC ne ha realizzato la copia speculare e due grandi sassi sono stati ricollocati nel paesaggio, in cui, pur essendo perfettamente integrati, i passanti non potevano fare a meno di notare qualcosa di strano, di diverso, a un livello di coscienza bassa. Così ho iniziato a interrogarmi sull’imitazione della natura, su come l’umano si sia sempre adoperato nel rifare qualcosa che era spesso comunque reperibile.

Più avanti ho realizzato 1/1 (2018) per il MAMbo di Bologna, due immagini che uniscono superficie umana, la pelle, con il mondo minerale, il marmo. Le due texture si confondono tra loro a causa dei segni del tempo e della morfologia dei materiali: venature, nei, graffi, si mescolano illusoriamente sulla sottile e ampia superficie di grès porcellanato su cui ho stampato. Per la prima volta ho trattato direttamente del rapporto tra uomo e natura da un punto di vista di superficie, mentre in Sea Bones la relazione è sostanziale.


SITO WEB CATERINA MORIGI

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